Riccardo Bacchelli nel suo “Il Brigante di Tacca del Lupo” scrive “come un spaccato verde tra gli avidi colli, si apriva fresco d’alba, il vallone dove si stipa S. Marco in Lamis, “Avidi colli”, per gente, quindi, dura e avvezza alla fatica.
Nato e cresciuto attorno ad un’antica abbazia, quella di S. Giovanni in Lamis (oggi Convento di S. Matteo dei Frati Minori di Puglia), S. Marco si sviluppa costantemente a partire dal XII secolo (e fino al 1648 contava circa 3000 abitanti). Ed è nel Settecento, poi, che il Paese registra una crescita straordinaria con uno sviluppo demografico ed edilizio che hanno dell’incredibile: nel 1722 gli abitanti si fanno risalire a 4.400, nel 1793 diventano 9000, quindi il doppio. Fu grazie a questo sviluppo che S. Marco in Lamis nello stesso anno, 1793, viene dichiarata, con regio decreto, Città.
Non fu così benevolo il secolo seguente se la città dovette sopportare di tutto: occupazioni militari, dure lotte contadine per l’occupazione delle terre, il brigantaggio degli anni sessanta, epidemie coleriche, etc. Nonostante ciò la città si sviluppò ulteriormente: nel 1861 S. Marco in Lamis contava 15.350 abitanti, nel 1921 se ne censivano 18.800 e nel 1951 si arrivò fino a 21.792. Sono gli anni, quelli a cavallo tra il ’21 ed il ’51, in cui si giocano i destini sociali ed economici della cittadina garganica.
E’ soprattutto negli anni ’30 che si va formando il tessuto socio-economico della città. Le fondamenta sono le attività agricole, ma attorno ad esse si sviluppano il piccolo e il medio artigianato, il terziario legato ai servizi dello Stato.
Tutt’attorno al “vallone”, inerpicandosi sulle colline, i contadini coltivano piccoli appezzamenti; nella pianura di S. Severo e di Foggia si formano le grandi proprietà fondiarie delle gentilizie famiglie sammarchesi.
Se si considera che nel censimento del 1936 gli addetti nel settore agricolo ammontavano al 63%, si comprende bene anche come S. Marco sia retta da canoni e regole tipici della civiltà contadina. Forte è poi la presenza della pastorizia che tipizza e caratterizza la vita e i modi di pensare della gente sammarchese, in modo assai più peculiare e originale…
Nel periodo che segue il Secondo conflitto è testimoniata la larga diffusione del commercio, del terziario e dell’artigianato. S. Marco in quel periodo era sede di importanti Uffici statali (Ufficio del Registro, Ufficio delle imposte, era sede Pretorile e capoluogo di mandamento, erano presenti tutti i gradi dell’istruzione).
Risulta evidente che non solo è viva la presenza di una classe dirigente, ma il comprensorio e il più vasto ambito provinciale si correlano con le realtà vive della cittadina.
A ciò va aggiunta l’elevata professionalità artigianale e il dinamismo, relativo a quei tempi, del tessuto mercantile.
Come sostiene Ciavarella nel suo Fra orti e mugnali l’artigianato del legno, del ferro, dell’oro è di ottima fattura e impiega ingenti risorse finanziarie ed umane. Il commercio non consiste solo nella rete della piccola distribuzione, ma rilevante è la presenza di imprenditoria della grande distribuzione, legata soprattutto al mercato dei prodotti agricoli e della pastorizia. S. Marco insomma, negli anni sessanta del secolo scorso è una cittadina viva, ma fortemente condizionata dalla sua economia ancora per certi versi ottocentesca e penalizzata, ove si fosse voluto e potuto pensare ad uno sviluppo preindustriale, da una connotazione oro–morfologica priva di grandi aree adatte ad uno sviluppo di quel tipo: “avidi”, quei colli, e avari.
Il declino inarrestabile di questi ultimi trent’anni è dovuto principalmente a questo: l’impossibilità di avere infrastrutture e strutture industriali, l’antieconomicità degli investimenti e la quasi assoluta mancanza di una classe dirigente degna di questo nome; d’altronde le intelligenze più vive nel corso degli anni tendono ad andare via alla ricerca di migliori e più adeguate opportunità.